4 giugno dell’anno 78. Isaak Bromberg. Lotta fra i due vecchi di ferro

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4 giugno dell’anno 78. Isaak Bromberg. Lotta fra i due vecchi di ferro

— Proviamo a parlare con calma, — propose Sua Eccellenza.

— Proviamo, proviamo! — rispose vivacemente Bromberg. — Ma chi è quel giovanotto che puntella la parete accanto alla porta? Si è munito di guardia del corpo?

Sua Eccellenza non rispose subito. Forse, aveva intenzione di mandarmi via: «Maksim, sei libero» e, ovviamente, me ne sarei andato. Ma mi sarei offeso, e Sua Eccellenza questo lo capiva. Del resto, penso che facesse anche altre considerazioni. In ogni caso, mosse leggermente il braccio nella mia direzione e disse:

— È Maksim Kammerer, collaboratore del COMCON. Maksim, questo è il dottor Isaak Bromberg, storico della scienza.

Mi inchinai e Bromberg annunciò subito:

— Lo sapevo. Ovviamente, aveva paura di non farcela con me da solo, Sikorski… Si sieda, si sieda, giovanotto, si metta a suo agio. Per quanto conosco il suo capo, la nostra conversazione sarà lunga…

— Siediti, Mak, — disse Sua Eccellenza.

Mi sedetti sulla ben nota poltrona per i visitatori.

— Allora, sto aspettando le sue spiegazioni, Sikorski. Che cosa significa quest’imboscata?

— Vedo che si è spaventato molto.

— Che assurdità! — si infiammò subito Bromberg. — Che sciocchezza! Grazie a Dio, non sono un pauroso! E se c’è chi mi può far paura, Sikorski…

— Ma si è messo a strillare come un’aquila e ha fatto cadere talmente tanti mobili…

— Senta un po’, se di notte in un edificio assolutamente vuoto…

— Non c’è ragione di andare di notte in edifici assolutamente vuoti…

— In primo luogo, non è affar suo, Sikorski, dove vado e quando ci vado! In secondo luogo, quando ci potrei andare? Di giorno non mi fanno entrare. Di giorno qui fanno degli strani lavori, organizzano stupidi cambi degli oggetti esposti… Senta, Sikorski, lo ammetta: è opera sua, chiudere l’accesso al museo! Avevo assolutamente bisogno di rinfrescarmi la memoria su certi fatti. Vengo qui. Non mi fanno entrare. Non fanno entrare me! Un membro del comitato scientifico del museo! Telefono al direttore: di che si tratta? Il direttore, il carissimo Grant Chocikjan, è in un certo senso un mio allievo… Ma lui non può farci nulla, l’ha promesso! Gliel’hanno chiesto persone stimabilissime, e lui ha promesso! Sarebbe troppo sapere chi è che gliel’ha chiesto? Forse, un certo Rudolf Sikorski? No! No! Nessuno ha mai nemmeno Sentito il nome di Rudolf Sikorski! No, a me non la si dà a bere! Ho capito subito chi c’è dietro le quinte! Però vorrei proprio sapere, Sikorski, perché ormai da un’ora buona se ne sta zitto e non risponde alle mie domande? Perché ha combinato tutto questo, le chiedo? La chiusura del museo! Un infame tentativo di sottrarre al museo pezzi che gli appartengono! Imboscate notturne! E chi è stato, se lo porti il diavolo, ad interrompere l’elettricità? Non so cosa avrei fatto, se non avessi avuto la torcia sul bioplano. Mi sono fatto un bernoccolo proprio qui, vi portasse il diavolo! E ho fatto anche cadere qualcosa! Spero di tutto cuore — voglio sperare! — che si tratti solo di un plastico… E preghi Iddio, Sikorski, che sia solo un plastico, perché se si trattasse di un originale, allora me lo dovrà rimettere a posto lei! Fino all’ultimo pezzettino. E se man casse un pezzettino, allora dovrebbe andare a cercarlo fin su Tagora…

Gli mancò la voce, e cominciò a rantolare dolorosamente, battendosi il petto con i pugni.

— Avrò prima o poi delle risposte alle mie domande? — sibilò irato, cercando di riprender fiato.

Sedevo come a teatro, e tutto mi sembrava più che altro comico, ma quando guardai Sua Eccellenza rimasi di stucco.

Sua Eccellenza, il Nomade, Rudolf Sikorski, quel blocco di ghiaccio, quel monumento di granito ricoperto di brina al Sangue freddo e all’Autocontrollo, quel meccanismo dal funzionamento impeccabile per carpire informazioni, era paonazzo fino al cocuzzolo, respirava pesantemente, serrava e disserrava convulsamente i pugni ossuti e coperti di lentiggini, e le sue famose orecchie erano in fiamme e si contraevano spaventosamente. E ancora si controllava ma, probabilmente, sapeva lui solo quanto gli costasse.

— Vorrei sapere, Bromberg, — disse con voce soffocata, — perché le servivano proprio i detonatori.

— Ah, lei vorrebbe saperlo! — sibilò velenoso il dottor Bromberg e si chinò avanti, fissando Sua Eccellenza così da vicino che per poco il suo lungo naso non si trovò fra i denti del mio capo. — E che cosa vorrebbe ancora sapere? Forse le interessa la mia sedia? Oppure di cosa ho parlato poco tempo fa con Pilguj?

Sentire nominare Pilguj in questo contesto non mi piacque. Pilguj si occupava di biogeneratori, e il mio reparto ormai da due mesi si occupava di lui. Comunque, a Sua Eccellenza il nome di Pilguj entrò da un orecchio e uscì dall’altro. Anche lui si fece avanti, e con tanto impeto che Bromberg fece appena in tempo a scostarsi.

— Della sua sedia se ne occupi lei! — gridò. — Io invece vorrei sapere perché si permette di introdursi nel museo e perché allunga le zampe sui detonatori, sebbene le sia stato detto con chiarezza che per i prossimi giorni…

— Lei si permette di criticare il mio comportamento? Ah! Sikorski! Accusare me di scasso! Vorrei sapere come ha fatto lei ad entrare in questo museo! Beh? Risponda!

— Non è pertinente, Bromberg!

— Lei è uno scassinatore, Sikorski! — annunciò Bromberg, puntando verso Sua Eccellenza il lungo dito. — Lei si è spinto fino allo scasso!

— È lei che si è spinto fino allo scasso, Bromberg! — sbottò Sua Eccellenza. — Lei! Le è stato detto con assoluta chiarezza e inequivocabilmente: l’ingresso al museo è vietato! Qualsiasi persona normale al suo posto…

— Se una persona normale si scontra con la solita attività segreta, è suo dovere…

— È suo dovere far funzionare il cervello, Bromberg! È suo dovere capire che non vive nel Medioevo. Se si imbatte in un mistero, in un segreto, non è certo per il capriccio di qualcuno e nemmeno per cattiva volontà…

— Sì, non è un capriccio e non è Cattiva volontà, ma la sua sbalorditiva disinvoltura, Sikorski, la sua ridicola, veramente medioevale, idiotamente fantastica convinzione che stia proprio a lei decidere che cosa deve essere segreto e che cosa no! Lei è ormai vecchio, Sikorski, ma ciò nonostante non ha ancora capito che fare così è profondamente amorale!…

— È ridicolo parlare di morale con una persona che pur di soddisfare il suo puerile senso di protesta arriva allo scasso! Lei non è solo vecchio, Bromberg, lei è un misero vegliardo, nella seconda infanzia!…

— Magnifico! — disse Bromberg, ritornando improvvisamente calmo. Si infilò una mano nella tasca dell’impermeabile bianco e ne tirò fuori un oggetto luccicante che poggiò rumorosamente sul tavolo, davanti a Sua Eccellenza. — Ecco la mia chiave. Anche io, come tutti gli altri collaboratori di questo museo, ho la chiave dell’ingresso di servizio e l’ho utilizzata per entrare.

— Nel mezzo della notte e nonostante i divieti del direttore? — Sua Eccellenza non aveva la chiave, aveva un grimaldello magnetico, perciò gli restava solo una cosa da fare: attaccare.

— Nel mezzo della notte, ma con la chiave! Ma dov’è la sua di chiave, Sikorski? Mi faccia vedere, per favore, la sua chiave!

— Non ho la chiave! Non mi serve! Mi trovo qui per servizio, e non perché mi è saltato il ticchio, vecchio scemo isterico!

E che cosa si scatenò a questo punto! Sono sicuro che mai, prima, le pareti di quel modesto studio avevano sentito un tale scoppio di ira frammisto a grida rauche. E che epiteti. E che baccanale di sentimenti. Che assurde argomentazioni e che contro-argomentazioni ancora più assurde, Sì, e che c’entravano le pareti! In fin dei conti erano solo le pareti di una tranquilla istituzione accademica, lontana dalle passioni quotidiane. Ma io, persona non più giovanissima, che ne aveva viste di tutti i colori, persino io non avevo mai sentito niente del genere, in ogni caso non da Sua Eccellenza.

In effetti, il campo di battaglia si era completamente velato di fumo e non si poteva più distinguere l’oggetto della contesa. Solo, come dardi infuocati, sfrecciavano da una parte e dall’altra vari «ciarlatani privi di senso della responsabilità», «cavalieri di cappa e spada», «provocatori della società», «agenti spelacchiati dei servizi segreti», «demagoghi sclerotici», «vecchi asini», «omiciattoli velenosi» e «vecchi in preda a marasma senile»; granate del genere piovevano a bizzeffe…

Tuttavia il fumo finalmente si dissolse, e davanti al mio sguardo sorpreso e affascinato apparve un quadro impressionante. Capii allora che la battaglia di cui ero stato casuale testimone era stata solo una delle innumerevoli scaramucce, invisibili al mondo, di una guerra tacita, iniziata quando i miei genitori andavano ancora a scuola.

Ricordai abbastanza in fretta chi era Isaak Bromberg. Ovviamente avevo sentito già parlare di lui, forse addirittura quando ero un moccioso, e lavoravo nel Gruppo di Libera Ricerca. Uno dei suoi libri — Come sono effettivamente andate le cose — indubbiamente l’avevo letto: era la storia dell’“Incubo del Massachusetts”. Ricordo che il libro non mi era piaciuto. L’intento panphlettistico era troppo evidente; l’autore si era sforzato di togliere ogni velo romantico a questa storia veramente terribile, e aveva dato troppo posto alla discussione sui princìpi politici dell’approccio a esperimenti pericolosi, discussione che, a quel tempo, non mi interessava affatto.

In particolari ambienti, comunque, il nome di Bromberg era noto e godeva di una certa stima. Si sarebbe potuto definirlo “dell’estrema sinistra” del noto movimento di Giuisti, fondato da Lamondais e che sosteneva il diritto della scienza a svilupparsi senza limiti.

Gli estremisti di questo movimento professano dei princìpi che, a prima vista, sembrano assolutamente naturali, ma nella pratica si rivelano molto spesso irrealizzabili a qualsiasi livello di sviluppo della civiltà umana (ricordo l’enorme shock che provai quando appresi la storia della civiltà di Tagora, dove questi princìpi erano stati rigorosamente seguiti fin dai tempi immemorabili della Prima Rivoluzione Industriale).

Ogni scoperta della società che può essere realizzata sarà sicuramente realizzata. Con questo principio è difficile trovarsi in disaccordo, sebbene anche qui nasca tutta una serie di riserve. Come comportarsi con una scoperta che sia già realizzata? Risposta: tenerne le conseguenze sotto controllo. Molto bene. Ma se non riusciamo a prevederne tutte le conseguenze? E se sopravvalutiamo una conseguenza e ne sottovalutiamo altre? Se, infine, tutto è chiaro, ma noi semplicemente non siamo in grado di tenere sotto controllo le conseguenze più evidenti e sgradevoli? Se per questo sono necessarie risorse energetiche assolutamente impensabili e tensione morale? (Come, fra l’altro, è successo con la macchina del Massachusetts, quando davanti agli occhi degli attoniti studiosi nacque e cominciò a prender forza una nuova civiltà non umana della Terra.)

— Interrompere le ricerche! — ordina di solito in questi casi il Consiglio Mondiale.

— Niente affatto! — ribattono gli estremisti. — Rafforzare i controlli? Sì. Ridurre le prestazioni della misura necessaria? Sì. Rischiare? Sì! In fin dei conti, «chi non fuma e non beve, muore in buona salute» (dall’intervento del patriarca degli estremisti J.G. Prenson). Ma niente divieti! I divieti etico-morali nella scienza sono più terribili di qualsiasi sconvolgimento etico che sia o possa essere provocato dalle più rischiose sterzate impresse al progresso scientifico. È un punto di vista che, indubbiamente, si impone per la sua dinamicità, che trova accaniti apologeti fra i giovani scienziati, ma tutto diventa maledettamente pericoloso, quando princìpi del genere li professa un famoso e valente specialista, che esercita la sua influenza su un collettivo dinamico e dotato di importanti forze ed energie.

Proprio questi estremisti-pratici erano i clienti principali del nostro COMCON-2. Il vegliardo Bromberg era un estremistateorico, e per questa ragione, forse, non era subito caduto nel nostro campo visivo. Invece a Sua Eccellenza, come ora potevo costatare, era tutta la vita che gli stava sullo stomaco, sui reni e sul fegato.
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