Il segreto della personalità di Lev Abalkin

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Il segreto della personalità di Lev Abalkin

Il 21 dicembre dell’anno 37 una brigata di Esploratori guidata da Boris Fokin atterrò sul plateau di pietra di un piccolo pianeta senza nome del sistema EN 9173, avendo come compito lo studio delle rovine, scoperte già nel secolo scorso, di alcune costruzioni attribuite ai Nomadi.

Il 24 dicembre, una ripresa ultravisiva fotografava sotto le rovine un ampio locale Scavato nella pietra viva, alla profondità di più di tre metri.

Il 25 dicembre, Boris Fokin, al primo tentativo e senza sorprese, penetrò in questo ambiente. Aveva la forma di una semisfera e un raggio di dieci metri. Era rivestita di ambra, cosa tipica della civiltà dei Nomadi, e conteneva un enorme ordigno che, date le circostanze, qualcuno degli Esploratori battezzò sarcofago.

Il 26 dicembre Boris Fokin chiese e ottenne dal reparto responsabile del COMCON il permesso di esaminare il sarcofago con i mezzi a sua disposizione.

Secondo il suo solito, si diede da fare intorno al sarcofago con estenuante metodicità e cautela, per tre interi giorni. In questo tempo riuscì a stabilire l’età della scoperta (quaranta-quarantacinquemila anni), che il sarcofago consumava energia, e perfino un indubbio legame fra il sarcofago e le rovine che si trovavano sopra. Già allora venne formulata l’ipotesi, in seguito confermata, che le “rovine” non fossero affatto tali, ma costituissero parte di un ampio sistema, che abbracciava tutta la superficie del pianeta, per l’assorbimento e la trasformazione di tutti i tipi di energia gratuita, sia planetaria che cosmica (sismica, fluttuazioni del campo magnetico, influsso meteorologico, irradiazioni di corpi celesti centrali, raggi cosmici e così via).

Il 29 dicembre, Boris Fokin si mise immediatamente in contatto con Komov e insistette perché gli fosse mandato il miglior specialista ernbriologo. Komov, ovviamente, chiese spiegazioni, ma Boris Fokin si rifiutò di darne e propose a Komov di venire personalmente, ma accompagnato da un embriologo. Molto tempo prima, quando erano giovani, Komov aveva lavorato con Fokin, e di lui gli era rimasta un’impressione sfavorevole. Per questo, ad andare personalmente non ci pensò nemmeno, mandò però un embriologo; per la verità, noti il migliore, ma il primo che gli capitò: un certo Mark Van Bleerkom (in seguito Komov si sarebbe più volte strappato i capelli, ripensando a quella sua decisione, perché Mark Van Bleerkom risultò essere amico per la pelle del famigerato Isaak P. Bromberg).

Il 30 dicembre, Mark Van Bleerkom si mise agli ordini di Boris Fokin e già dopo alcune ore inviò a Komov un sorprendente testo non cifrato. In questo messaggio confermava che il cosiddetto sarcofago in effetti non era altro che un particolare scrigno embrionale di fantastica costruzione. Nello scrigno erano conservate tredici ovocellule fecondate del tipo Homo sapiens , inoltre tutte erano vitali, sebbene si trovassero in stato latente.

È indispensabile dare ai due protagonisti di questa storia, Boris Fokin ed il membro del COMCON Gennadij Komov, ciò che ad essi spetta. Boris Fokin intuì, con un sesto senso, che di questa scoperta non bisognava parlar troppo in giro: il radiogramma di Mark Van Bleerkom fu il primo e l’ultimo radiogramma pubblico nello scambio di messaggi fra la spedizione e la Terra. Per questo motivo tutta questa storia venne riportata dai mezzi di informazione del nostro pianeta più che altro come una breve comunicazione, in seguito non confermata e perciò non degna di particolare attenzione.

Per quanto riguarda Gennadij Komov, non solo si rese subito conto del problema che aveva di fronte, ma in qualche modo riuscì ad immaginarne tutte le possibili conseguenze. Innanzi tutto pretese da Fokin e Bleerkom la conferma dei dati ricevuti (con un codice speciale sul canale di emergenza), e, avuta la conferma, immediatamente indisse una riunione di quei dirigenti del COMCON che erano anche membri del Consiglio Mondiale. Fra di essi vi erano corifei come Leonid Gorbovskij e August Johann Bader, il giovane e polemico Kirill Aleksandrov, il cauto, eternamente dubbioso Machiro Sinoda, e anche l’energico sessantaduenne Rudolf Sikorski.

Komov informò i convenuti e pose la questione senza mezzi termini: cosa fare? Ovviamente, si poteva chiudere il sarcofago e lasciare tutto come stava, limitandosi in futuro ad un’osservazione passiva. Si poteva cercare di dar inizio allo sviluppo delle ovocellule e vedere che cosa ne veniva fuori. Infine, si poteva, onde evitare future complicazioni, distruggere la scoperta.

Ovviamente, Gennadij Komov, persona già allora sufficientemente esperta, capiva perfettamente che né questo straordinario avvenimento né decine di altri successivi avrebbero risolto il problema. Con il suo intervento volutamente sferzante si proponeva solo un fine: scioccare i presenti e spingerli alla discussione.

Bisogna dire che raggiunse il suo scopo. Fra tutti i partecipanti alla riunione solo Leonid Gorbovskij e Rudolf Sikorski mantennero un evidente sangue freddo. Gorbovskij perché era un ottimista ragionevole, Sikorski perché già allora dirigeva il COMCON-2. Vennero dette molte parole: impetuosamente focose e volutamente calme, superficiali e profonde, alcune furono subito dimenticate, altre entrarono in seguito nel lessico delle relazioni, delle leggende, dei rapporti e delle raccomandazioni. Come si poteva prevedere, l’unica decisione della riunione fu di convocare per il giorno dopo una nuova assemblea, allargata agli altri membri del Consiglio Mondiale, agli specialisti di psicologia sociale, pedagogia e mezzi di informazione di massa.

Durante tutta la riunione Rudolf Sikorski tacque. Non si sentiva abbastanza competente per esprimersi a favore di questa o quella soluzione del problema. Tuttavia, la sua lunga esperienza nel campo della storia sperimentale, e anche i dati complessivi che possedeva sull’attività dei Nomadi lo portavano ad una conclusione: qualunque sarebbe stata la decisione ultima del Consiglio Mondiale, occorreva mantenere la cosa in un ristretto ambito di persone con un altissimo livello di responsabilità sociale, per un periodo imprecisato. In questo senso si espresse in extremis: «La decisione di lasciare tutto come sta, e di osservare passivamente, non è una vera decisione. Le decisioni vere sono solo due: distruggere o far sviluppare. Non ha importanza quando sarà presa l’una o l’altra decisione — domani o fra cento anni, — ma ognuna di esse sarà insoddisfacente. Distruggere il sarcofago significherà compiere un atto irrevocabile. Tutti noi conosciamo bene il prezzo di atti irrevocabili. Far sviluppare significherà andare incontro ai Nomadi, le cui intenzioni sono per noi a dir poco incomprensibii. Io non ho deciso niente e non mi ritengo in diritto di votare per l’una o l’altra possibilità. L’unica cosa che chiedo, e su cui insisto, è di permettermi di prendere immediatamente misure contro le fughe di notizie. Se non altro perché non ci si riversi addosso un oceano di incompetenti.

Questo breve discorso produsse una grande impressione, e la decisione venne presa all’unanimità, tanto più che tutti si rendevano conto di una cosa: non occorreva aver fretta, e creare le condizioni per un lavoro tranquillo ed esauriente era indispensabile.

Il 31 dicembre si tenne l’assemblea allargata. Erano presenti ottanta persone, fra cui il Presidente del Consiglio Mondiale per le questioni sociali, su invito di Gorbovskij. Tutti concordarono sul fatto che il sarcofago era stato rinvenuto in modo assolutamente casuale e, dunque, prima del tempo. Tutti concordarono anche sul fatto che, prima di prendere qualsivoglia decisione, bisognava cercare di capire, e se non di capire, perlomeno di immaginare qua! era il disegno originario dei Nomadi. Furono espresse alcune ipotesi più o meno azzardate.

Kirill Aleksandrov, noto per le sue opinioni antropomorfiche, espresse l’opinione che il sarcofago contenesse il fondo genetico dei Nomadi. «Tutte le dimostrazioni a me note sulla non umanità dei Nomadi — annunciò — sono indirette. In realtà, i Nomadi potrebbero essere benissimo dei sosia genetici dell’uomo. È una supposizione che non contraddice nessuno dei dati in nostro possesso». Partendo da questo, Aleksandrov proponeva di interrompere tutti gli studi, rimettere la scoperta nella sua posizione originaria e abbandonare il sistema EN 9173.

Secondo August Johann Bader, il sarcofago era sì un contenitore del fondo genetico ma non dei Nomadi, bensì dei terrestri. Quarantacinquemila anni fa, i Nomadi, ammettendo teoricamente la possibilità di imbastardimento genetico delle allora poco numerose stirpi di Homo sapiens , avevano cercato in questo modo di prendere misure atte a ristabilire l’umanità terrestre nel futuro.

Sempre nella linea «non penseremo male dei Nomadi» parlò anche l’anziano Pak Xin. Anche lui, come Bader, era convinto che ci si trovasse di fronte a qualcosa che avesse a che fare con il fondo genetico dei terrestri, ma riteneva che i Nomadi avessero in questo caso fini illuministi. Il sarcofago era una particolare “bomba del tempo”, aprendo la quale i terrestri contemporanei acquisivano la possibilità di conoscere le particolarità dell’aspetto fisico, dell’anatomia e della fisiologia dei loro lontani predecessori.

Gennadij Komov pose il problema in modo molto più ampio. Secondo lui, ogni civiltà, arrivata ad un certo punto di sviluppo, non può non tendere ad un contatto con altri intelletti. Tuttavia, il contatto fra civiltà umanoidi e civiltà non umanoidi è estremamente difficile, se non impossibile. Si trattava del tentativo di usare un metodo di contatto assolutamente nuovo: creare un umanoide essere-mediano, nel cui genotipo erano cifrate alcune essenziali caratteristiche della psicologia non umanoide. In questo senso bisognava guardare alla scoperta come all’inizio di una nuova fase, in linea di principio, sia nella storia dei terrestri, sia nella storia dei Nomadi non umanoidi. Secondo Komov, le ovocellule dovevano essere fatte sviluppare senza indugio. Lui, Komov, non era affatto turbato dalla considerazione che la scoperta fosse avvenuta prima del tempo: i Nomadi, calcolando i tempi di sviluppo dell’umanità, facilmente avevano potuto sbagliarsi di qualche secolo.

L’ipotesi di Komov suscitò una vivace discussione, durante la quale per la prima volta si fece strada il dubbio sulla capacità della pedagogia contemporanea di adattare o no, con successo, i suoi metodi all’educazione di persone la cui psiche si distingue in modo significativo da quella degli umanoidi.

Contemporaneamente, i cautissimo Machiro Sinoda, il più grande specialista di Nomadi, pose una domanda molto ragionevole: perché lo stimato Gennadij e anche altri compagni sono così convinti del benevolo atteggiamento dei Nomadi nei confronti dei terrestri? Non abbiamo nessuna prova del fatto che i Nomadi siano capaci di avere un atteggiamento benevolo verso chicchessia, compresi gli umanoidi. Al contrario, i fatti (non molto numerosi, è vero) testimoniano piuttosto che i Nomadi sono assolutamente indifferenti ad un intelletto estraneo e tendono ad utilizzarlo come mezzo per il conseguimento dei propri fini e non come partner per un contatto. Non sembra quindi, allo stimato Gennadij, che l’ipotesi da lui espressa possa ugualmente essere sviluppata in senso opposto, e, precisamente, che gli ipotetici esseri-mediani debbano, secondo i progetto dei Nomadi, adempiere a dei compiti che dal nostro punto di vista sono negativi? Perché, seguendo la logica dello stimato Gennadij, non presupporre che il sarcofago sia, per così dire, una bomba ideologica a scoppio ritardato, e gli esserimediani siano un tipo di sabotatori predestinati all’inserimento nella nostra civiltà? “Sabotatori”, ovviamente, è una parola odiosa. Ma ecco che anche da noi è apparso un concetto nuovo, quello di “Progressore”, un uomo della Terra la cui attività è diretta ad accelerare il progresso delle civiltà umanoidi retrograde. Perché non ammettere che gli ipotetici esseri-mediani siano una specie di Progressori dei Nomadi? In fin dei conti, che cosa ne sappiamo noi del punto di vista dei Nomadi sul tempo e la forma del nostro progresso umano?…

L’assemblea, in breve, si divise in due fazioni, gli ottimisti ed i pessimisti. Il punto di vista degli ottimisti sembrava, naturalmente, assai più verosimile. Effettivamente, è difficile, e persino impossibile, immaginare una superciviltà capace non di una rozza aggressione, ma anche solo di una sperimentazione priva di tatto nei confronti dei fratelli più giovani per intelletto. Nei limiti di tutte le rappresentazioni esistenti sulla regolarità di sviluppo dell’intelletto, il punto di vista dei pessimisti sembrava, a essere indulgenti, artificioso, cervellotico e arcaico. Ma, d’altra parte, rimaneva sempre la possibilità, anche se minima, di un errore di calcolo. Poteva essere sbagliata l’intera teoria del progresso. Potevano essersi sbagliati quelli che l’avevano interpretata. E, principalmente, potevano essersi sbagliati i Nomadi stessi. Le conseguenze di questo tipo di errori per le sorti dell’umanità terrestre non vengono né computate né controllate.

Proprio allora, all’immaginazione di Rudolf Sikorski per la prima volta si presentò l’immagine apocalittica di un essere che né anatomicamente, né fisiologicamente si distingue da un uomo; per di più, non si distingue da un uomo anche psichicamente, né per ragionamento logico, né per i sentimenti, né per la visione del mondo; vive e lavora proprio in mezzo agli altri, ha in sé un invisibile, minaccioso programma, e la cosa più terribile di tutte è che lui stesso non sa niente di questo programma e non viene a saperne niente nemmeno in quel momento imprecisato in cui questo programma si mette finalmente in moto, fa scoppiare il terrestre che è in lui e lo conduce… dove? A che scopo? E già allora per Rudolf Sikorski fu irrimediabilmente chiaro che nessuno — e lui, Rudolf Sikorski, per primo — ha il diritto di rimanersene tranquillo basandosi sulle scarse probabilità e sul carattere fantastico di questa supposizione.

Nel momento culminante della riunione venne comunicato a Gennadij Komov un messaggio cifrato da parte di Fokin. Komov lo lesse, cambiò faccia e con voce incolore annunciò: «Brutte notizie. Fokin e Van Bleerkom comunicano che in tutte e tredici le ovocellule si è verificata la prima scissione».

Fu proprio un brutto Capodanno per tutti i partecipanti. Dalla mattina presto del primo gennaio fino alla sera del tre gennaio del nuovo anno 38, la Commissione rimase praticamente riunita in assemblea permanente. Ora il sarcofago veniva chiamato incubatrice e si discuteva, in sostanza, di una sola questione: come, considerando tutte le circostanze, organizzare il destino dei tredici futuri nuovi cittadini del pianeta Terra?

Il problema della distruzione dell’incubatrice non venne più posto, nonostante il senso di disagio di tutti i membri della Commissione, compresi quelli che fin da principio si erano pronunciati per lo sviluppo delle ovocellule. Non li abbandonava un vago senso di allarme. Avevano l’impressione che il 31 dicembre avessero, in un certo senso, perso la loro indipendenza e ora si sentivano obbligati a seguire un programma imposto dall’esterno. Comunque, la discussione ebbe un carattere molto costruttivo.

Già in quei giorni furono formulati in linea generale i princìpi educativi dei futuri nati, furono assegnate le bambinaie, i medici che li avrebbero tenuti in osservazione, gli insegnanti, ed i possibili istruttori, e anche i fondamentali indirizzi di ricerca antropologica, fisiologica e psicologica. Furono designati e immediatamente inviati al gruppo di Fokin degli specialisti di xenotecnologia in generale e di xenotecnica dei Nomadi in particolare per lo studio dettagliato del sarcofago-incubatrice, per evitare “azioni maldestre” e, soprattutto, nella speranza di riuscire a scoprire dei particolari del meccanismo, che in seguito aiutassero a distruggere o a concretizzare il programma di lavoro imminente con “i trovatelli”. Furono persino elaborate varianti diverse da fornire all’opinione pubblica a seconda di quale delle ipotesi sugli scopi dei Nomadi si realizzasse.

Rudolf Sikorski non prese parte alla discussione. Ascoltava con un orecchio solo, concentrando la sua attenzione nei conteggio di tutti coloro che, anche in misura minima, avevano partecipato allo sviluppo degli avvenimenti. L’elenco si allungava minacciosamente, ma capiva che per il momento non c’era niente da fare, perché in un modo o nell’altro, in questa strana e pericolosa storia, sicuramente sarebbero risultate coinvolte molte persone.

La sera del tre gennaio, durante la seduta conclusiva, quando si tracciò un bilancio e le sottocommissiofli formatesi spontaneamente vennero organizzate, chiese la parola e disse più o meno questo:

— Qui abbiamo fatto un buon lavoro e ci siamo in un certo qual modo preparati a un possibile sviluppo degli avvenimenti, considerato il nostro odierno livello di informazione e la situazione poco favorevole in cui ci siamo venuti a trovare a prescindere dalla nostra volontà e per volontà dei Nomadi. Abbiamo deciso di non compiere azioni irreversibili: è questo il senso di tutte le nostre decisioni. Ma, come direttore del COMCON-2, l’organizzazione responsabile della sicurezza della civiltà terrestre, vi pongo una serie di richieste cui d’ora innanzi dovremo attenerci nella nostra attività.

Primo. Tutti i lavori, legati a questa storia anche in maniera minima, devono essere dichiarati segreti. Notizie su di essi non ne devono trapelare in nessuna circostanza. Motivo: a tutti è ben nota la legge sul segreto della personalità.

Secondo. Nessuno dei “trovatelli” deve saper nulla delle circostanze della sua venuta alla luce. Motivo: quella stessa legge.

Terzo. I “trovatelli”, immediatamente dopo la loro venuta alla luce, devono essere separati, e in seguito devono essere prese misure non saio perché non sappiano nulla l’uno dell’altro, ma anche perché non si incontrino. Motivo: considerazioni piuttosto elementari, che non intendo ora esporre.
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