Dal rapporto di Lev Abalkin (operazione “Mondo morto”)

[1] [2]

— Non lo so. — Ščekn sposta lentamente la grossa testa da destra a sinistra. — In nessuna finestra. Vuoi che diamo un’occhiata? Ma ora è già di meno… — La testa si solleva lentamente. — È tutto. Come prima.

— Che cosa?

— Come prima.

— C’è pericolo?

— C’era pericolo fin dall’inizio. Debole. Ma poi è diventato più forte. E ora è come all’inizio.

— Uomini o animali?

— Un odio fortissimo. Non si capisce cosa sia.

Mi giro a guardare il parco. Il pagliaccio folle non c’è più e non si riesce a distinguere nulla attraverso il verde fitto e bagnato.

Vanderchuze è terribilmente preoccupato. Dètto il mio rapporto. Vanderchuze teme che sia stata un’imboscata e che il pagliaccio dovesse distrarmi. Non riesce a capire che in questo caso l’imboscata è riuscita, perché il pagliaccio mi ha effettivamente distratto a tal punto che oltre a lui non ho né visto né sentito niente. Vanderchuze propone di inviarci un gruppo di sostegno, ma io rifiuto. Il nostro è un compito da poco, e con ogni probabilità saremo noi che andremo a far da sostegno al gruppo di Espada.

Comunicazione dal gruppo di Espada: li hanno bombardati con proiettili traccianti. A quanto pare un bombardamento di preavviso. Espada continua a muoversi, noi anche. Vanderchuze è agitatissimo, ha una voce terribilmente lamentosa.

Col capitano non abbiamo proprio avuto fortuna. Il capitano dell’Espada è un Progressore, il nostro è Vanderchuze. Ovviamente c’è una ragione: Espada è un gruppo di contatto, Rem è la principale fonte di informazioni, ed io e Ščekn siamo semplicemente degli esploratori a piedi in una zona deserta e priva di pericoli. Un gruppo di appoggio. Ma se dovesse accadere qualcosa, — e qualcosa succede sempre, — ci toccherà contare solo su noi stessi. In fin dei conti il vecchio e caro Vanderchuze è solo un astronauta, una vecchia volpe del cosmo. Ha nel sangue il paragrafo 06/3 del regolamento: «In caso di scoperta, sul pianeta, di tracce di vita umana partire IMMEDIATAMENTE, dopo aver fatto sparire, nei limiti del possibile, ogni traccia della propria presenza…». E qui c’è addirittura un bombardamento di preavviso, un chiaro segno che non desiderano entrare in contatto, e ciò nonostante nessuno si prepara a partire, ma anzi continuano ad avanzare e si cacciano chissà dove…

Smette di piovere. Le rane saltellano sull’asfalto bagnato. È chiaro cosa mangino i serpenti. Ma che mangiano le rane? Le zanzare. Le case diventano sempre più lussuose. Un lusso spelacchiato e ammuffito. Una lunga colonna di camion di varie dimensioni è ferma lungo il ciglio della strada, sul lato sinistro. Evidentemente qui si teneva la sinistra. Molti camion sono aperti, nei cassoni sono accatastate masserizie domestiche. Sono le tracce di un esodo di massa, solo non è chiaro perché si siano mossi in direzione del centro cittadino. Forse si dirigevano al porto?

Sbuchiamo in una piazza e ci fermiamo subito, perché vediamo un cannone. È sistemato dietro l’angolo, è tozzo, sembra quasi saldato all’asfalto: la lunga bocca da fuoco con la pesante maniglia del freno, l’ampio scudo ricoperto di disegni mimetici a zigzag, il grande affusto, le pesanti ruote gommate… Da questa posizione aveva sparato spesso, ma molto, molto tempo prima. I bossoli dei proiettili sparati sono sparsi intorno, completamente corrosi dall’ossido verde e rosso, i ganci dell’affusto hanno squarciato l’asfalto e affondano ora nell’erba fitta, e persino un alberello è riuscito a spuntare oltre la fiancata sinistra. La culatta arrugginita pende da una parte, l’alzo manca completamente, e dietro giacciono in disordine casse di munizioni putrefatte, semidistrutte, tutte vuote. Qui hanno sparato fino all’ultimo proiettile.

Guardo al di sopra dello scudo e vedo dove hanno sparato. Cioè, prima vedo un’enorme breccia ricoperta di edera, nella parete della casa di fronte, e solo dopo mi balza agli occhi un’incongruenza architettonica. Ai piedi della casa, proprio come un cavolo a merenda, sta un piccolo padiglione di un color giallo opaco, a un piano solo, con il tetto basso, e ora mi è chiaro che hanno sparato proprio contro di esso, mirando dritto, quasi con ostinazione, da una cinquantina di metri, e gli squarci nella parete della casa non sono altro che colpi a vuoto, sebbene, da quella distanza, mancare il colpo sembrasse impossibile. Del resto, i colpi a vuoto non sono poi molti, e ci si può solo meravigliare della solidità di quella squallida costruzione gialla che, nonostante i tanti colpi ricevuti, non è diventata un mucchietto di spazzatura.

Il padiglione è assolutamente fuori posto, e da principio mi sembra che siano stati i terribili colpi dei proiettili a spostarlo dal suo posto, a farlo cadere all’indietro, a trascinano per il marciapiede e quasi a piantarlo ad angolo Contro il muro della casa. Ma, chiaramente, non è andata così. I proiettili hanno provocato sulla facciata gialla dei fori dai bordi fusi e anneriti e sono esplosi all’interno, così che gli ampi battenti del grande ingresso si sono aperti verso l’esterno e, contorti, ora pendono appesi a fili invisibili. All’interno è ovviamente scoppiato un incendio, e tutto quello che c’era è bruciato, e le lingue delle fiamme hanno lasciato nere tracce sull’ingresso, di qua e di là dalla breccia. Ma il padiglione si trova proprio là, dove l’avevano messo fin dall’inizio degli architetti strampalati, ostruendo completamente il marciapiede e occupando parte della sede stradale, cosa che doveva indubbiamente disturbare il movimento dei trasporti.

Tutto questo è avvenuto molti, moltissimi anni fa, e ormai è scomparso da tempo l’odore degli incendi e degli spari, ma l’atmosfera di odio viscerale, di rabbia, di follia, che allora spingeva gli sconosciuti artiglieri si è stranamente conservata e opprime l’anima.

Ricomincio a dettare il rapporto e Ščekn, allontanatosi un po’, con il labbro sprezzantemente all’ingiù brontola a bella posta a voce alta, storcendo l’occhio giallo: «Uomini… Ci può forse essere dubbio… È chiaro, sono uomini… Ferro e fuoco, rovine, sempre lo stesso…». Evidentemente sente anche lui questa atmosfera e, probabilmente, in modo ancora più intenso di me. Inoltre gli vengono in mente le contrade natie, i boschi disseminati di tecniche assassine, le radure arse fino ad essere ridotte in cenere, dove sporgono mortali i tronchi degli alberi carbonizzati e radioattivi e la terra stessa è intrisa di odio, di paura e di morte…

In questa piazza non abbiamo più niente da fare. Si possono solo fare ipotesi e immaginare quadri uno peggiore dell’altro. Proseguiamo e penso che, al momento della catastrofe totale, le civiltà fanno venire in superficie tutta la malvagità, tutte le lordure che si sono accumulate durante i secoli nei geni dell’intelletto. Le forme di questo tartaro sono straordinariamente varie, e da esse si può giudicare quanto disgraziata fosse quella civiltà al momento del cataclisma, ma molto poco si può dire sulla natura del cataclisma, perché i più vari cataclismi — si tratti di un’epidemia totale o di una guerra mondiale o di una catastrofe geologica — portano in superficie sempre lo stesso tartaro: odio, egoismo bestiale, crudeltà, che sembrano giustificati, ma non hanno invece nessuna giustificazione…

Comunicazione da Espada: è riuscito a entrare in contatto. Ordine di Komov: tutti i gruppi preparino gli apparecchi traduttori per lo scambio di informazione linguistica. Sposto la mano sulla schiena, trovo a tastoni l’interruttore del traduttore portatile e lo faccio scattare…

13 Nafta pesante per centrali elettriche. (Wikipedia)
[1] [2]



Добавить комментарий

  • Обязательные поля обозначены *.

If you have trouble reading the code, click on the code itself to generate a new random code.