VII

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— Adesso lo strozzo.

— Glielo proibisco assolutamente, — disse Anton.

Il capo gridò, rivolgendosi verso la porta aperta:

— Arrostiscimi la carne, Haira, necrofio! E scaldami il letto! Oggi sono di buon umore. — Poi si volse di profilo rispetto al bioplano, alzò l’indice sporco e si mise a dire, guardando verso le montagne: — Adesso siete ancora istupiditi e impietriti per la paura. Però dovete sapere che in futuro, quando parlerete con me, sarete tenuti a inchinarvi e a premervi le palme delle mani sul petto. E non mi dovete guardare, perché siete plebei ed il vostro sguardo è immondo. Oggi vi perdono, ma un’altra volta vi farò bastonare. E un’altra cosa dovete tenere bene in mente, che le massime virtù sono l’obbedienza ed il silenzio. — Si infilò l’indice in bocca e cominciò a stuzzicarsi un dente. Il suo discorso divenne quasi incomprensibile. — Quando tornerete con la marmellata, il messaggio ed il disegno, vi svestirete e lascerete tutto sulla veranda. Io non verrò fuori. Poi andrete nelle baracche a prendere un camiciotto ai morti. Ne potete prendere solo uno a testa. — Sghignazzò all’improvviso. — Con due sudereste, quando siete al lavoro. Se volete, potete anche spogliare i vivi, ma solo quelli che hanno le unghie dorate…

Dalla porta aperta fece capolino Haira.

— Tutto è pronto, mio forte e glorioso, — comunicò.

— La vostra sorte non sarà cattiva, — continuava il capo. — La Grande Rupe Potente ha bisogno di uomini che sappiano muovere le macchine. Quando li avrà, potrà finalmente cominciare la guerra per la conquista delle terre che gli spettano di diritto! Ed allora la Grande Rupe Potente, — alzò di nuovo l’indice, — la Battaglia Scintillante, colui che posa un piede nel cielo e che vivrà quanto le macchine…

— Porco! — urlò Saul con voce assordante. Accanto alla testa di Vadim brillò la canna del disintegratore.

— Non deve farlo! — tuonò Anton.

Saul scostò Vadim e si impadronì del volante.

— Ah, non devo farlo? — gridò. — E che cos’è che devo fare? Aver pazienza e aspettare finché non spariscono le macchine? Va bene!

Uno strappo tremendo fece cadere Vadim fra i sedili. Saul aveva avviato il bioplano senza chiudere l’oblò. Si udì uno schianto. Una trave spezzata passò sopra la cabina. Il vento gelato fischiava nelle orecchie, il bioplano rollava paurosamente, e Vadim fece appena in tempo a vedere il capo rannicchiato carponi sulla veranda, con le enormi natiche rivolte verso il cielo, mentre il tetto della casa, rivoltato e ridotto in pezzi, crollava nel mezzo della strada. Vadim cercò di chiudere l’oblò. L’oblò non si chiudeva.

— Saul! — gridò Vadim. — Rallenti!

Saul non rispose. Guidava il bioplano lungo la strada, sulla quale già marciavano le colonne dei condannati diretti alla conca. Sedeva curvo, nascondendosi il volto sotto la piccola visiera del berretto. Teneva lo skorcer sulle ginocchia. Il bioplano procedeva a strappi irregolari, il vento contrario cercava di rovesciarlo.

Vadim continuava a tentare di chiudere l’oblò con una mano sola. Con l’altra reggeva la cassetta dell’analizzatore che gli era caduta sulle ginocchia. Saul mormorava fra i denti:

— Farabutti!… canaglie… boia… Volete le macchine? Ve le do io le macchine!… Volete terre da conquistare? Eccovi le terre!…

Vadim riuscì finalmente ad appollaiarsi su un sedile, e si guardò intorno. Il bioplano puntava diritto sulla conca. Anton, stringendosi ai braccioli della poltrona, con gli occhi socchiusi per le raffiche di vento, fissava la schiena di Saul.

— Vuoi la marmellata? — ringhiava Saul. — Te la do io la marmellata!… I dolciumi… necrofili…

Sopra la conca il bioplano puntò verso l’alto. Saul smise di imprecare, si sporse fuori e sparò in basso con lo skorcer . Vadim si tirò indietro. Dalla conca si levò un’accecante fiammata violetta, accompagnata da un lacerante fragore di tuono, mentre il bioplano proseguiva.

Vadim, tendendosi al punto di far scricchiolare le ossa, riuscì finalmente a chiudere l’oblò. Nella cabina si ristabilì il silenzio.

— Gli farò cambiare idea riguardo all’eternità, — disse Saul e tacque.

— Ma forse non ce n’è bisogno, — propose timidamente Vadim. Non riusciva ancora a capire cosa volesse fare Saul, come potesse arrabbiarsi sul serio con quegli uomini ottusi ed ignoranti.

Il bioplano ruggiva sopra le cime dei colli, sollevando nubi di polvere di neve. Saul era un pessimo pilota, dava troppo gas al motore, sottoponendolo ad uno sforzo inutile. Dietro l’apparecchio si formò una densa scia di brina. Alcuni uccelli tentarono di inseguire e intercettare il bioplano, ma scomparvero subito nel vortice di neve. Alle loro spalle si innalzava verso il cielo una colonna di fumo.

— È un peccato, è un vero peccato… — riprese Saul, — che non si possa eliminare con un colpo solo tutta l’ottusità e la crudeltà senza distruggere anche l’uomo… Beh, leviamo di mezzo almeno una stupidità in questo paese infinitamente stupido!…

— Sta volando verso l’autostrada? — chiese Anton con calma.

— Sì, e non cerchi di fermarmi.

— Non ci penso nemmeno, — disse Anton. — Però stia attento.

Ora Vadim aveva capito e si mise a guardare lo skorcer . A quanto pare, pensò, ora comincerà qualcosa che non riuscirò mai a descrivere… e nemmeno a capire.

Sull’autostrada tutto era come prima. Come il giorno prima e come cento anni prima, le macchine procedevano senza rumore in file uniformi. Uscivano dal fumo e rientravano nel fumo. E così si poteva continuare all’infinito. Ma Saul fece atterrare il bioplano ad una ventina di metri di distanza, abbassò la cappotta e appoggiò la canna dello skorcer sul bordo.

— Non sopporto nulla di eterno, — disse con calma inattesa, e fece fuoco.

Il primo colpo centrò una grande macchina che pareva una tartaruga. La corazza volò in pezzi come un guscio d’uovo e la piattaforma si mise a girare su se stessa, travolgendo e fracassando i piccoli veicoli verdi che la seguivano.

— È impossibile cambiare le leggi della storia… — disse Saul.

Una gigantesca torre nera, montata su ruote, s’incendiò con un boato. Un’altra torre si rovesciò, ostruendo una parte della strada.

— … però si può correggere qualche errore storico, — continuò Saul, mirando.

Il lampo violetto della scarica di milioni di volt esplose sotto una macchina arancione, che pareva un sintetizzatore da campo, e ne fece volare in alto i frantumi.

— … anzi è necessario correggere questi errori, — terminò Saul, senza smettere di sparare. — Il feudalesimo è già di per sé abbastanza sporco.

Poi tacque. A destra il cumulo dei rottami roventi andava crescendo. A sinistra, per la prima volta, forse, da migliaia di anni, la strada era libera. Passavano soltanto macchine isolate che avevano trovato per caso un varco nella cortina di fuoco. Poi il cumulo fiammeggiante crollò fragorosamente, sollevando una colonna di cenere e scintille, e nuove file di macchine si riversarono sull’autostrada coperta di nubi di fumo. Saul bestemmiò, impugnando di nuovo lo skorcer . Rimbombarono nuove scariche. Altre macchine si incendiarono. La montagna di rottami arroventati riprese a crescere. Si levarono pesanti nembi neri, attraversati da fontane di scintille. Dalle nuvole di fumo cadevano fiocchi lanuginosi di cenere. La neve diventava nera e fumigava. Sull’autostrada si era sciolta.

Vadim sedeva, tenendo ferma coi piedi la cassetta dell’analizzatore, e chiudeva gli occhi, rabbrividendo ad ogni sparo. Infine si abituò e smise di sbattere le palpebre. Per molte volte di seguito rivide la stessa scena: sull’autostrada la montagna fiammeggiante tornava a crescere, poi crollava di nuovo, spargendo intorno relitti ardenti ed espirando rumorosamente vampate di calore insopportabile, mentre le macchine continuavano ad arrivare in un flusso incontenibile, incuranti di queste distruzioni. Non se ne vedeva la fine.

— Credo che basti, Saul! — disse Anton.

Poteva fare a meno di dirlo, pensò Vadim. Saul smise di sparare — aveva finito i proiettili — e si era ripiegato su se stesso con la testa fra le braccia. La canna rovente dello skorcer era puntata verso il cielo. Vadim guardò la testa e le mani di Saul, coperte di fuliggine, e sentì la sua enorme stanchezza. Non capisco, pensò. Non è servito a niente. Povero Saul. Povero Saul.

— È la storia, — disse Saul con voce rauca, senza sollevare la testa. — Non si può fermare niente.

Si raddrizzò e guardò i ragazzi.

— Dovete scusarmi, — disse. — Il cuore non ha retto. Non ne ho potuto fare a meno. Dovevo fare qualcosa.

Restarono a guardare a lungo la strada. Le macchine si susseguivano, una fila dopo l’altra, spingendo via i rottami, e facendo turbinare la cenere. Ben presto tutto tornò come prima, a parte una macchia purpurea, che si raffreddava lentamente sull’autostrada, e la neve sporca tutt’intorno, e a lungo non si dissolse la cortina di fumo, oltre la quale tremolava, rosso e deformato, il disco della stella nana EN-7031.

Saul chiuse gli occhi e disse qualcosa di incomprensibile:

— Sono come i forni… Se distruggiamo solo i forni, ne verranno costruiti degli altri, e saremo al punto di prima.

Non lontano risuonarono grida lamentose, odiosamente familiari. Vadim volse il capo controvoglia. Sul sentiero che finiva nell’autostrada c’era una folla di uomini ischeletriti, vestiti di sacchi. Intorno a loro si agitavano indaffarati i portatori di picche, avvolti nelle pellicce. Che cosa cercano qui? si chiese Vadim con apatia. I guardiani fecero uscire dalla folla, spingendolo con i bastoni delle picche, uno di quegli infelici. Tremando e guardandosi alle spalle, questi oltrepassò la neve annerita e raggiunse l’autostrada. Una gigantesca torre lucente avanzò senza fretta verso il condannato. Egli guardò terrorizzato i guardiani, che gli urlarono qualcosa a proposito delle braccia. Il condannato chiuse gli occhi e spalancò le braccia. La macchina lo schiacciò e passò oltre. Saul si alzò. Lo skorcer cadde sul pavimento con un tonfo sordo.

— Voglio spaccargli il muso, — disse Saul. Le dita gli si piegavano e tornavano a distendersi.

Anton lo trattenne per la casacca.

— Parola d’onore, non serve.

— Lo so, — Saul si rimise a sedere. — Credete che non lo sappia? Ma perché non posso fare niente? Perché non sono riuscito a fare niente né qui né là?

I guardiani spinsero sulla strada un altro condannato. Il primo fu lasciato steso dov’era, piatto come un sacco vuoto. Il secondo spalancò le braccia e andò a mettersi davanti ad una piattaforma rossa, sormontata da una scatola cubica. La piattaforma rallentò e si arrestò a due passi da lui. I guardiani gridarono. Il condannato sollevò le braccia e cominciò a retrocedere verso il sentiero. La macchina rossa lo seguì come incatenata. Raggiunto il sentiero, procedette dietro di lui in direzione della conca, sobbalzando pesantemente sulle asperità. Intanto sull’autostrada sfilavano senza interruzione altre macchine.

— Ho fatto una sciocchezza, — disse amaramente Saul. — Sgridatemi. Comunque qui si dovrà cominciare con qualcosa del genere. So che tornerete qui. Ebbene, ricordatevi che bisogna sempre cominciare con ciò che semina il dubbio… Ma perché non mi rimproverate?

Vadim si limitò a sospirare, rabbrividendo. Anton rispose con dolcezza:

— Perché mai, Saul? Lei non ha fatto nulla di male. Ha fatto soltanto strane cose.


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